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  • Antonio Nicita

Contratti, cosa cambia nell'economia digitale

pubblicato su Affari&Finanza-laRepubblica 24/10/16

Oliver Hart e Bengt Hölmstrom sono i vincitori del Premio Nobel di quest’anno per le scienze economiche. I loro contributi, basati sull’analisi economica dei contratti, sono stati al centro del dibattito economico sui confini tra impresa e mercato.Molti commentatori, in questi giorni, hanno sottolineato l’importanza del loro contributo nella spiegazione delle regole che governano l’impresa moderna nella società capitalistica pre-digitale.Hölmstrom è stato anche a lungo nel board di Nokia, una delle più belle imprese vittime del tramonto di quella fase della storia economica.Se si vuole guardare all’attualità delle loro teorie conviene quindi domandarsi se e in che misura l’avvento del capitalismo digitale trasformi le regole che governano le forme di contrattazione economica tra imprese e tra queste e i dipendenti (siano essi semplici occupati o manager), rispetto agli anni ottanta e novanta, nei quali scrivevano i due economisti.

Hart e Hölmstrom si sono chiesti quali incentivi possono essere individuati in relazioni contrattuali caratterizzati da incertezza, asimmetria informativa, complessità. In tutti questi casi, infatti, il rischio che una parte possa non rispettare le promesse contrattuali è molto alto. In assenza di una terza parte capace di comprendere e far rispettare le promesse contrattuali, molti scambi efficienti sul mercato rischiano di esser inibiti dal timore di impegnarsi in contratti rischiosi.Ne consegue che meccanismi incentivanti basati sulla performance o forme di controllo gerarchico, tipici nell’organizzazione di impresa, possono ridurre i costi di transazione sostituendo relazioni di mercato con relazioni di potere e di comando.Per Hart l’efficienza dell'impresa gerarchica rispetto allo scambio di mercato si spiega proprio con la necessità di ridurre le incertezze di molti contratti che caratterizzano il mercato.

Viene allora naturale chiedersi se queste teorie hanno ancora validità in un capitalismo digitale caratterizzato da bassi costi di informazione, elevata disintermediazione, centralità delle piattaforme digitali, ridefinizione dei ruoli tra consumatori, dipendenti, e imprenditori (si pensi ai casi di Uber, di Airbnb, di YouTube).

Nell’economia digitale, e in quelle forme di scambio denominate sharing economy, molte spinte all’integrazione verticale all’interno di un’unica impresa vengono meno. Al contrario, si osserva un prepotente ritorno del mercato e di scambi decentralizzati, realizzati attraverso la mediazione di nuovi aggregatori e di algoritmi. Queste piattaforme, tuttavia, non sono ‘impresa’ perché tutti coloro che usano le piattaforme possiedono risorse proprie di capitale fisico e umano. Esse, d’altra parte, non sono nemmeno ‘mercato’ perché non si limitano a intermediare domanda e offerta, ma centralizzano, spesso in via esclusiva, i big data connessi allo scambio.Il paradosso cui assistiamo nell’economia digitale, rispetto ai contributi di Hart e Hölmstrom. è che da un lato cresce l’ambito della contrattazione e della negoziazione di mercato, ma dall’altro cresce anche una nuova forma di intermediazione che non esercita un controllo gerarchico, ma tende a monopolizzare i flussi informativi, attraverso la profilazione degli utenti e la definizione delle regole del gioco, rappresentate da contratti e algoritmi privati e non negoziabili.Se da un lato l’economia digitale aumenta lo spazio degli scambi economici, essa crea al contempo nuovi spazi di controllo e di organizzazione del mercato del tutto inediti.

Guardando oggi ai contributi di Hart e Hölmstrom, dobbiamo chiederci quanto questa ‘trasformazione fondamentale’ del capitalismo digitale corrisponda una nuova frontiera di contrattazione efficiente e quanto invece le nuove regole non rischino di per inibire altre forme organizzative, più efficienti in termini di investimenti e di valorizzazione del capitale umano.

Ad oggi, i ‘dividendi digitali’ misurati dalla Banca Mondiale e dall’Ocse sembrano mostrare una crescente polarizzazione tanto tra le imprese quanto tra gli occupati. Cresce il divario tra 'routine' per lavoratori non specializzati e coloro il cui contributo permette di valorizzare l’innovazione. Cresce il divario di capitalizzazione tra imprese tradizionali e quelle della new economy.Insomma il meritato Premio Nobel ai due economisti arriva in un mondo dove la contrattazione è tornata centrale, ma nel quale i fenomeni organizzativi, gli incentivi al lavoro, l’asimmetria informativa, l’efficacia dell’intervento di terze parti, sono profondamenti cambiati e tutti ancora da indagare. In attesa del prossimo Nobel.

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